mercoledì 15 ottobre 2014

Social network, è reato creare un falso profilo con nome e foto altrui

Social network, è reato creare un falso profilo con nome e foto altrui

Andrea Alberto Moramarco

Integra il reato di sostituzione di persona, ai sensi dell'articolo 494 del codice penale , la condotta di colui che crei un account su un social network, usando delle foto di una persona del tutto inconsapevole, ed utilizzi il profilo creato per comunicare con altri iscritti e per condividere materiale in rete. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 25774/2014 .

La vicenda
 - Un ragazzo creava su un noto social network un falso account utilizzando il nome e l'immagine di un'altra persona, descrivendo il falso titolare del profilo in maniera fittizia e volgare, inducendo così in errore gli altri utenti che comunicavano con lui attraverso la chat. I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano condannato l'imputato per il delitto di sostituzione di persona, ritenendo sussistenti tutti gli elementi della fattispecie, dall'attribuzione della diversa identità al danno arrecato all'immagine della vittima.

Le motivazioni
 - In seguito al ricorso, la Cassazione conferma le sentenze di merito ritenendo che la condotta incriminata abbia procurato un vantaggio all'utilizzatore del profilo, consistente nella possibilità di "chattare" con altre persone, e un danno all'immagine e alla dignità della vittima. I giudici ricordano i precedenti casi del fenomeno di sostituzione di persona e comunicazione attraverso posta elettronica e social network e ritengono, semplicemente, che l'utilizzo dell'effige altrui, nonché la descrizione di un profilo poco lusinghiero «consente di riconoscere, oltre all'intento di conseguire un vantaggio non patrimoniale, quello di recare un danno all'altrui reputazione, intesa come l'immagine di sé presso gli altri».

Fonte: Il Quotidiano del Diritto - Andrea alberto Moramarco

martedì 14 ottobre 2014

Svolta sulla responsabilità medica, il paziente deve provare l'errore

SI APPLICA L'ART. 2043 COD. CIV
Svolta sulla responsabilità medica, il paziente deve provare l'errore
13/10/2014

Tribunale di Milano - Sezione I civile - Sentenza 17 luglio 2014


Se davvero si affermerà il principio per cui il rapporto con il medico ha natura extracontrattuale e sarà il paziente a dover dimostrare la colpa del professionista, così sovvertendo alcuni decenni di giurisprudenza, è ancora presto per dirlo. Certo è che dopo la sentenza del tribunale di Milano, datata 17 luglio 2014 (resa nota soltanto in queste ore), molti non esitano a parlare di "svolta". Così è per Roberto Carlo Rossi, presidente dell'Ordine dei medici del capoluogo lombardo: "È una sentenza storica".

La vicenda
La pronuncia dei giudici milanesi riguarda un processo intentato da un paziente al Policlinico di Milano e a un suo medico per un caso di paralisi delle corde vocali. La sentenza, interpretando la legge Balduzzi del 2012, ha stabilito che non è più il medico a dover provare la propria correttezza professionale, ma è il paziente che deve provare la colpa del medico. "Importante, inoltre – prosegue Rossi -, è anche il fatto che la sentenza, in base alla legge, riconosca che la presunta colpa si prescrive in 5 anni e non in 10 come in precedenza".

Balduzzi: una sollecitazione per la Cassazione
Per Renato Balduzzi, ex ministro della Salute e oggi nuovo componente del Csm, che da legislatore era intervenuto nel 2012 con un norma di 'alleggerimento' della colpa lieve del medico si tratta di una sentenza che "va letta come una sollecitazione a riconsiderare la giurisprudenza in materia". Per l'ex ministro però quella dei giudici di Milano "non è una pronuncia nuova, c'era già stato un tribunale di merito che aveva interpretato la norma in questa direzione ma la Cassazione aveva invece confermato l'orientamento tradizionale". "Per questo – ha proseguito - penso che la decisione sia da leggere come una sollecitazione alla Cassazione a riconsiderare la giurisprudenza".

La questione dell'articolo 2043 del c.c.
Da un punto di vista tecnico, secondo la sentenza, sia il tenore letterale dell'articolo 3 comma 1 della legge Balduzzi che l'intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d'opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex articolo 2043 c.c. e che, dunque, l'obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano (che il danneggiato ha l'onere di provare).

Nulla cambia per le struttura sanitarie
Ogni caso l'alleggerimento della responsabilità (anche) civile del medico "ospedaliero", che deriva dall'applicazione del criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalla legge Balduzzi (articolo 2043 c.c.), non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata), che è comunque di tipo "contrattuale" ex articolo 1218 c.c. (sia che si ritenga che l'obbligo di adempiere le prestazioni per la struttura sanitaria derivi dalla legge istitutiva del S.S.N. sia che si preferisca far derivare tale obbligo dalla conclusione del contratto atipico di "spedalità" o "assistenza sanitaria" con la sola accettazione del paziente presso la struttura).

Il diverso regime
Se dunque il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in "contatto" presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell'illecito ex articolo 2043 c.c. che l'attore ha l'onere di provare; se nel caso suddetto oltre al medico è convenuta dall'attore anche la struttura sanitaria presso la quale l'autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex articolo 2043 c.c. per il medico e quella ex articolo 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell'onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare tuttavia che, essendo unico il "fatto dannoso" (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell'articolo 2055 c.c.

Tutto uguale in caso di conclusione di un contratto d'opera
Secondo il tribunale di Milano, dunque, l'articolo 3 comma 1 della legge Balduzzi non incide né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) né su quello del medico che ha concluso con il paziente un contratto d'opera professionale (anche se nell'ambito della cd attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico): in tali casi sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d'opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall'articolo1218 c.c., ed è indifferente che il creditore/danneggiato agisca per ottenere il risarcimento del danno nei confronti della sola struttura, del solo medico o di entrambi.

Il richiamo nella norma suddetta all'obbligo di cui all'articolo 2043 c.c. per l'esercente la professione sanitaria che non risponde penalmente (per essersi attenuto alle linee guida), ma la cui condotta evidenzia una colpa lieve, non ha nessun riflesso sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, che ha concluso un contratto atipico con il paziente (o, se si preferisce, è comunque tenuta ex lege ad adempiere determinate prestazioni perché inserita nel S.S.N.) ed è chiamata a rispondere ex articolo1218 c.c. dell'inadempimento riferibile direttamente alla struttura anche quando derivi dall'operato dei suoi dipendenti e/o degli ausiliari di cui si è avvalsa (articolo 1228 c.c.).

Ordine di Milano, ora stop alla medicina difensiva
In conclusione per l'ordine dei medici di Milano la sentenza è positiva anche perché fino ad ora a causa dei costi dei premi assicurativi "molti medici non si sono più limitati a praticare solo le linee guida e le buone pratiche accreditate dalle comunità scientifica, ma si sono 'difesi' richiedendo esami diagnostici non necessari per il paziente e particolarmente onerosi per il servizio sanitario, oppure si rifiutano di trattare i casi più complicati e a rischio denuncia".
Resta ora da comprendere – conclude una nota - la portata di questa sentenza, ovvero se farà giurisprudenza nei confronti di tutti i medici o se, con un'interpretazione restrittiva, avrà un'efficacia limitata al solo ambito ospedaliero".

FONTE: Guida al diritto - Il sole 24 ore

lunedì 29 settembre 2014

Anche nello stupro possibile l'attenuante per "minore gravità"

Corte di cassazione – Sezione penale – Sentenza 25 settembre 2014 n. 39445

Per la Cassazione c'è stupro e stupro. Anche se la violenza carnale è stata "completa", infatti, l'attenuante prevista per i casi di «minore gravità» - con relativo sconto di pena fino a due terzi - non può escludersi a priori. Secondo i giudici di Piazza Cavour, sentenza 39445/201, dunque, è sempre necessaria una valutazione caso per caso delle ripercussioni, anche sul piano psichico, prodotte sulla vittima, non essendo più possibile basarsi unicamente sulla «tipologia dell'atto».

Fonte: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoPenale/2014-09-25/anche-stupro-possibile-attenuante-minore-gravita-185644.php 

Con la riforma della giustizia civile 50mila cause fuori dai tribunali

Oltre 50mila controversie fuori dai tribunali. È questa la prima valutazione d'impatto del decreto legge sulla giustizia civile (n. 132) fatta dallo stesso ministero. Se sia un numero soddisfacente e tale da permettere alla magistratura di aggredire in maniera più intensa l'arretrato e di ridurre la durata delle cause in primo grado è da vedere. Tuttavia, quando ancora non sono noti i contenuti delle correzioni che verranno apportate al testo da parte del Governo per rendere più appetibili le vie alternative di risoluzione delle liti, i numeri sono quelli contenuti nella relazione tecnica depositata in Senato dove ieri l'esame del provvedimento è proseguito con l'audizione delle associazioni forensi.

Nel dettaglio, sul versante della negoziazione assistita, anche se su questo quanto la componente di azzardo della stima è elevata, il ministero della Giustizia ritiene che potranno essere definiti attraverso questa procedura, anche nella sua veste di condizione di procedibilità in alcune aree del contenzioso, circa 35mila controversie. Con un effetto collaterale non proprio irrilevante determinato da una perdita di gettito, da mancato pagamento del contributo unificato, che si aggirerà intorno ai 3 milioni e mezzo.

A queste 35mila controversie destinate a non approdare mai davanti ai giudici se ne aggiungeranno poi altre 17mila. Tanti sono infatti procedimenti di separazione, di divorzio, di cambiamento delle condizioni economiche di entrambi che seguiranno una delle due vie semplificate messa punto dal decreto, una con la presenza necessaria di un avvocato, l'altra davanti all'ufficiale di stato civile. Un numero cui si arriva, spiegano i tecnici di via Arenula, tenendo conto che i procedimenti di separazione e divorzio sopravvenuti in corso d'anno sono circa 80mila, la metà dei quali con figli minori (la presenza di figli minori esclude il ricorso alle vie semplificate). In astratto, quindi, sono circa 40mila i procedimenti che potranno essere interessati dalle novità del decreto legge. Per le stime del ministero 10mila saranno gestiti attraverso la negoziazione assistita, mentre 7mila attraverso l'alternativa davanti all'ufficiale di stato civile.


Fonte: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoCivile/2014-09-25/con-riforma-giustizia-civile-50mila-cause-fuori-tribunali-111546.php 

mercoledì 24 settembre 2014

Il ritardo nel pagamento del canone autorizza lo sfratto


Il mancato pagamento di una sola rata, o anche il semplice ritardo nel versamento, può giustificare la risoluzione del contratto di locazione se previsto da una clausola risolutiva espressa. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 19865/2014, accogliendo il ricorso della società locatrice contro il conduttore di un immobile adibito ad uso commerciale che non aveva ottemperato al pagamento del canone trimestrale



Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 22 settembre 2014 n. 19865 - FONTE guida al diritto

Ingiusta detenzione per vizio formale, riparazione slegata dalla "colpa grave"





Chi ha subito il carcere a causa di un vizio dell'ordine di esecuzione derivante da un difetto di notifica della sentenza ha sempre diritto alla riparazione per ingiusta detenzione. Nessun rilievo ha dunque la condotta processuale dell'imputato – in questo caso contumace - che non può essere considerata rilevante al fine di individuarne una «colpa grave» tale da fargli perdere il diritto al risarcimento. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 37845/2014

martedì 15 luglio 2014

La Cassazione interviene sul lavoro festivo infrasettimanale

Sentenza Corte di cassazione, sez. civile, n. 13558/14; Attività prestata in giorno festivo infrasettimanale.
la corte di cassazione con sentenza del 13 giugno 2014, n.13558/14, ha respinto il ricorso del comune di Rieti contro un dipendente della Polizia Municipale, alla quale era stato riconosciuto con le precedenti sentenze il pagamento della maggiorazione per lavoro straordinario festivo.
La Corte, in analogia a recenti sentenze, ultima la sentenza del 6 novembre 2012 n. 23349, richiamata nella premessa del dispositivo, ha ritenuto che il tenore dell’articolo 22, quinto comma del CCNL del 1 settembre 2000 del comparto delle autonomie locali, renda palese la volontà di attribuire al dipendente che presti attività nel giorno festivo ricadente nel turno un’indennità con funzione di compensare il disagio derivante dalla particolare articolazione dell’orario di lavoro, mentre l’articolo 24 del CCNL dello stesso contratto, come modificato dall’art. 14 del CCNL 200/2001, prende in considerazione situazione legate al fatto che l’attività lavorativa viene prestata in giorni lavorativi, ossia indaga l’ipotesi di eccedenza delle ore prestate rispetto al normale orario di lavoro, in forza del lavoro prestato in giorno non lavorativo.
Conclude la Corte che il lavoratore turnista, in ragione del lavoro prestato in giorni festivi, ha diritto:

• Alla maggiorazione di cui al primo comma dell’articolo 24 del CCNL del 1 settembre 2000, come modificato dall’art. 14 del CCNL 200/2001, quando ciò avviene in coincidenza con il giorno destinato al riposo settimanale ( in tal caso la maggiorazione spetta anche in aggiunta al riposo compensativo);
• Alla corresponsione del secondo comma dello stesso articolo (in alternativa al riposo compensativo) quando la prestazione sia effettuata in giorno festivo oltre il normale orario di lavoro;
• Al solo compenso dell’articolo 22 quinto comma, del CCNL del 1 settembre 2000, per la prestazione resa in giorno festivo in regime di turnazione ed entro il normale orario di lavoro.