lunedì 29 aprile 2013

Italia seconda in Ue per pressione fiscale

FISCO LAVORO: Italia seconda in Ue per pressione fiscale -   29 aprile 2013.       La pressione fiscale sul lavoro in Italia nel 2011 è stata del 42,3%, un po’ in calo rispetto al 2010 (42,7%). Il dato è stato reso noto nel rapporto Eurostat sull'evoluzione della fiscalità in Europa nel 2011, e pone il nostro paese al secondo posto tra i 27 superato solo dal Belgio (42,8%) con cui condivideva il primato nell'anno precedente. Tra i grandi paesi europei il carico totale di imposte sul lavoro dipendente è il seguente: in Francia è al 38,6%, in Germania al 37,1%, in Spagna al 33,2%, nel Regno Unito al 26,0%.

martedì 9 aprile 2013

Infortuni sul lavoro, grava sul datore il maggior danno non liquidato dall’Inail

Francesco Machina Grifeo (Guida al Diritto) 21 marzo 2013 - Tribunale di Trento - Sentenza 12 marzo 2013 - A seguito di infortunio sul lavoro, al dipendente va riconosciuto anche il diritto al risarcimento del danno biologico da menomazione permanente eccedente l’ammontare dell’indennizzo erogato dall’Inail: cioè il cosiddetto "danno differenziale". Lo ha stabilito con una articolata sentenza il tribunale di Trento liquidando circa 260 mila euro - di cui 80mila pagati dall’Inail - a titolo di danno "non patrimoniale" ad un uomo che aveva subito una menomazione all’integrità psicofisica del 42% nello svolgimento delle sue mansioni. Secondo il giudice: “Il punto essenziale della questione consiste nello stabilire se il sistema dell’assicurazione obbligatoria gestita dall’Inail svolga o meno una funzione sostitutiva di quella propria del sistema della responsabilità civile”. La diversità ontologica tra indennizzo e risarcimento A questo proposito, osserva la sentenza, la giurisprudenza è unanime nel riconoscere “la diversità ontologica tra indennizzo Inail e risarcimento civilistico in riferimento sia allo scopo (l’uno è volto a garantire, in applicazione dell’art. 38 Cost., i mezzi adeguati al lavoratore infortunato od ammalato per ragioni professionali, l’altro è diretto a ristorare integralmente la lesione al diritto alla salute ex art. 32 Cost. subita dal medesimo), sia alle modalità di attribuzione (certamente più favorevoli per il lavoratore quelle relative all’indennizzo, il quale è contraddistinto da certezza e tempestività in quanto, contrariamente al risarcimento, prescinde dalla solvibilità e dalla volontà del datore di lavoro), sia ai criteri di liquidazione (favorevoli al lavoratore quelli dell’automaticità secondo valori predeterminati e dell’irrilevanza del concorso di colpa previsti per l’indennizzo, mentre in tema di risarcimento il lavoratore è gravato dell’onere di provare il danno subito ed inoltre trova applicazione l’art.1227 co. 1 cod.civ.; svantaggiosi per il lavoratore quelli afferenti la quantificazione del danno risarcibile, stante la discrepanza tra i valori contenuti nelle tabelle di cui al Dm 12.7.2000 ed i parametri adottati dalla giurisprudenza)". La posizione della Cassazione Per esempio in una controversia definita dalla Cassazione (sentenza n. 13887/2004), un dipendente delle Ferrovie dello Stato rimasto vittima di un infortunio sul lavoro, agiva per il risarcimento del danno biologico, pur avendo diritto all’erogazione dell’equo indennizzo (ex art. 68 co. 7 del Dpr 3/1957). A fronte dell’eccezione, sollevata dalla società datrice, secondo cui la disciplina dell’equo indennizzo, in quanto speciale, esclude la risarcibilità del danno biologico, la Suprema Corte, ha statuito che “equo indennizzo e risarcimento, pur avendo lo stesso oggetto ossia la lesione dell’integrità psicofisica, non si identificano in quanto “diversi sono i presupposti normativi” (perché l’uno ha carattere indennitario, l’altro ha natura risarcitoria, l’uno prescinde da qualsiasi inadempimento del datore di lavoro, mentre l’altro presuppone la colpa di costui) e quindi “l‘indennizzo per equo indennizzo non esclude di per sé la più ampia tutela risarcitoria del danno biologico”. Pensione privilegiata e risarcimento In un altro caso (Cassazione 9094/2004), sempre richiamato in sentenza, un carabiniere di leva, essendo rimasto vittima di un infortunio in servizio, pur avendo già ottenuto il riconoscimento della pensione privilegiata (ex art. 64 Dpr 1092/1973) agiva anche per il risarcimento del danno biologico. Di fronte all’eccezione sollevata dall’Amministrazione secondo cui l’ammontare del risarcimento doveva essere diminuito di quanto il danneggiato aveva percepito a titolo pensione privilegiata, la Suprema Corte - “pur ricordando il proprio consolidato orientamento, secondo cui quest’ultima provvidenza ha natura risarcitoria ed affermando che la stessa ristora il pregiudizio all’integrità della persona, prescindendo da indagini sulla capacità di guadagno, e quindi ricomprende anche il danno biologico” - ha ammesso la possibilità di “cumulare la pensione privilegiata con il risarcimento liquidato secondo le regole comuni quando dalla comparazione tra il danno liquidato a nome del codice civile e le somme corrisposte dall’amministrazione (rese omogenee nella comparazione con opportune tecniche di capitalizzazione) risulti che il danno risulti superiore al trattamento corrisposto dall’amministrazione e nei limiti della differenza”. Il ragionamento del giudice A questo punto osserva il giudice diventa “agevole argomentare che, se la Suprema Corte ha ammesso la risarcibilità della quota di danno eccedente l’ammontare di una provvidenza avente natura risarcitoria (qual è la pensione privilegiata), a fortiori lo dovrà essere la quota di danno eccedente l’ammontare di una provvidenza avente natura indennitaria (qual è la prestazione erogata dall’Inail al fine di ristorare il danno biologico permanente)”. Infatti, prosegue il tribunale, “a ben vedere, l’aspetto peculiare del rapporto tra responsabilità civile ed assicurazione obbligatoria gestita dall’Inail non risiede tanto nella risarcibilità del danno differenziale, ma nell’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile grazie alla presenza dell’assicurazione obbligatoria e fino al concorso delle prestazioni erogate dall’Inail”. In difetto di tale esonero, stante la diversità di funzione (l’una risarcitoria, l’altra indennitaria), non sarebbe consentita neppure la detrazione dell’indennizzo Inail dal risarcimento dovuto dal responsabile civile”. E ciò è quanto accade, per esempio, nei danni provocati dalle vaccinazione obbligatorie dove la vittima può cumulare integralmente l’indennizzo ex lege 210/1992 erogato dallo Stato ed il risarcimento ex 2043 cod.civ. dovuto dall’autore del fatto illecito (Corte Cost. 118/1996). Così anche il risarcimento spettante al pubblico dipendente infortunatosi sul lavoro non viene ridotto da quanto egli ha percepito a titolo di pensione di inabilità (Cass. 10291/2001). Il danno biologico nella sfera Inail Alla base delle decisione, ha ricordato il giudice, vi è il cambio di rotta dovuto alla approvazione del Dlgs 38/2000, articolo 13 commi 1 e 2, a seguito del quale la giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis Cassazione 16376/2006) è stata concorde nel ritenere che il danno biologico è entrato nella sfera di operatività dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, consentendo così: a) al lavoratore assicurato di ottenere dall’Inail l’indennizzo del danno biologico permanente previsto dalle nuove norme ex art. 13 Dlgs 38/2000; b) al datore di lavoro assicurante di fruire dell’esonero ex art. 10 Dpr 1124/1965 (abbiamo visto parziale) dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali non più in relazione al solo danno patrimoniale, ma anche al danno biologico permanente; c) all’Inail di agire in via di regresso ex art. 11 Dpr 1124/1965 nei confronti del datore di lavoro penalmente responsabile ed in surrogazione ex art. 1916 cod.civ. nei confronti del terzo responsabile per le somme pagate a titolo di indennità a ristoro deI danno patrimoniale e del danno biologico subiti dal lavoratore assicurato. La quota a carico del datore Dunque la cifra che dovrà essere liquidata dal datore per la menomazione corrispondente al danno biologico permanente corrisponde al cosiddetto danno differenziale, ovvero la somma eccedente l’ammantare dell’indennizzo erogato dall’Inail. A questo proposito la sentenza aderisce all’orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui, nel caso di invalidità permanente superiore al 15% e, quindi, di corresponsione da parte dell’Inail, sia della rendita a titolo di danno biologico sia della rendita a titolo di danno patrimoniale (per diminuita capacità di lavoro generica), “dall’importo integrale del danno che deve essere risarcito al lavoratore secondo i criteri civilistici, deve essere detratta la capitalizzazione delle singole poste indennitarie erogate dall’Inail, singolarmente considerate - e, quindi, detraendo dall’ammontare dell’integrale danno biologico spettante al lavoratore la capitalizzazione della rendita erogata dall’Inail per il pregiudizio alla salute, e dal danno patrimoniale la capitalizzazione della rendita per la perdita della capacità di lavoro generica - e non già dall’ammontare del danno complessivamente spettante al lavoratore vada detratta la capitalizzazione dell’intera rendita erogata dall’Inail, (ossia la somma di quella erogata a titolo di danno biologico e di quella erogata a titolo di danno patrimoniale)”.

giovedì 4 aprile 2013

È stupro se la vittima dice sì e poi ci ripensa

Corte di cassazione - Sezione III penale - Sentenza 3 aprile 2013 n. 15334 03 aprile 2013. GD Giuris.Lex 24 del 04-04-2013 - RASSEGNA LEX 24- PENALE. "Integra il reato di violenza sessuale la condotta di chi prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento o della non condivisione della modalità di consumazione del rapporto". La Cassazione, con la sentenza 15334/2013, torna, condannando in via definitiva un ventenne piemontese, su un argomento affrontato con esiti diversi. "Il consenso della vittima agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità". La pronuncia della Cassazione si riferisce al caso di un ventitrenne della provincia di Novara, condannato a 3 anni e sei mesi per stalking, per aver perseguitato, minacciato e molestato la sua ex fidanza (all'epoca minorenne), e violenza sessuale perché con violenza, minaccia e imbavagliandola, l'ha costretta a rapporti sessuali "estremamente violenti". Il ragazzo aveva tra l'altro imposto alla ragazzina pratiche sadiche, sotto la minaccia di diffondere foto che la ritraevano mentre compiva atti sessuali. Il giovane era quindi stato condannato dal Tribunale di Novara e poi dalla Corte d'Appello di Torino. Nel ricorso in Cassazione la difesa ha sostenuto che "trattandosi di un rapporto sadomaso, non si potrebbe ritenere che in ogni momento l'imputato avesse l'obbligo di verificare la persistenza del consenso". La Terza sezione penale, che ha bocciato i motivi di ricorso, concordando con i giudici di merito, ha sottolineato che la ragazza "pur avendo prestato il proprio consenso ad alcuni rapporti, ha manifestato un esplicito dissenso alla successive pratiche estreme poste in essere dall'imputato. Di conseguenza la responsabilità dell'imputato è stata correttamente ritenuta sussistente".

MEDIAZIONE. Con le nuove risoluzioni europee sulla mediazione definizioni rapide e a basso costo

Marina Castellaneta (Guida al Diritto) 27 marzo 2013 La risoluzione alternativa delle controversie in Europa non è decollata. Malgrado gli atti Ue messi sul tappeto, gli Stati membri hanno frapposto ostacoli alla diffusione di meccanismi extraprocessuali. E questo soprattutto, ma non solo, con riguardo alle controversie transfrontaliere. Per superare le disparità tra Stati membri e assicurare ai consumatori la possibilità di ricorrere amezzi facili, efficaci, rapidi e a basso costo, il Parlamento europeo, nella seduta plenaria del 12 marzo 2013, ha approvato la risoluzione sulla proposta di direttiva relativa alla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, recante modifica del regolamento n. 2006/2004 e della direttiva n. 2009/22 (direttiva sull’Adr per i consumatori), che dovrebbe entrare in vigore entro 24 mesi. La risoluzione, approvata con 617 voti favorevoli, 51 contrari e 5 astenuti, che contiene la posizione assunta dagli eurodeputati in prima lettura, spiana quindi la strada a un rafforzamento degli strumenti Ue in materia di Adr. La nuova direttiva, che dovrà essere approvata dal Consiglio Ue dopo il via libera del Parlamento, punta a rendere disponibile il sistema Adr per ogni controversia sia essa nazionale o transfrontaliera. L’ambito di applicazione - La direttiva sarà applicata a ogni controversia tra consumatori e professionisti «concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi sia online sia offline». Sono definiti consumatori le persone fisiche che agiscono per fini che non rientrano nella propria attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, mentre professionista è considerata ogni persona fisica o giuridica che, «indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto privato o pubblico, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale anche tramite qualsiasi altra persona che agisca in suo nome o per suo conto» (articolo 4). La direttiva fa salva l’applicazione della n. 2008/52 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, recepita in Italia con il Dlgs n. 28 del 4 marzo 2010, dichiarato in parte incostituzionale con riguardo all’articolo 5, comma 1, a causa dell’eccesso di delega rispetto a quella concessa dal Parlamento con l’articolo 60 della legge 69/2009. Il nuovo testo sarà applicabile a ogni organismo Adr «istituito su base permanente». Vediamo le esclusioni - Restano fuori le procedure relative a sistemi di trattamento dei reclami dei consumatori gestiti da professionisti o in cui imeccanismi siano retribuiti esclusivamente dai professionisti, le controversie relative ai servizi economici di interesse generale, quelle tra professionisti, le controversie che vedono la presentazione di un reclamo da un professionista, quei sistemi che conducono a una negoziazione diretta tra consumatori e professionista, ai tentativi del giudice per comporre la controversia nel corso di un procedimento giudiziario, ai servizi di assistenza sanitaria prestati da professionisti sanitari a pazienti, agli organismi pubblici di istruzione superiore o di formazione continua. Per quanto riguarda i rapporti tra sistemi alternativi su base volontaria e quelli invece considerati obbligatori sul piano nazionale, la direttiva stabilisce che gli Stati possano prevedere l’obbligatorietà del ricorso alle procedure alternative di soluzione delle controversie «a condizione che tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accedere al sistema giudiziario », garantendo così la piena realizzazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che assicura il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva. Inoltre, la direttiva lascia discrezionalità agli Stati nella scelta sull’introduzione o sul mantenimento di procedure di Adr relative a reclami collettivi. Sul fronte Ue, il Parlamento ritiene invece opportuno procedere prima all’acquisizione di una valutazione di impatto per arrivare all’adozione di un atto sulla composizione extragiudiziale di reclami collettivi.

Lavoro accessorio, la dichiarazione preventiva di inizio prestazione in caso di utilizzo di voucher cartacei dovrà essere effettuata direttamente all’Inps

Pubblicato in Prassi amministrativa il 03/04/2013 Lilla Laperuta L’Inps, nella circolare n. 49 del 29 marzo 2013, ha riepilogato tutte le novità intercorse in tema di lavoro occasionale accessorio, tenuto conto in particolare delle modifiche introdotte dalla L. 92/2012 e dalla L. 134/2012, nonché dei chiarimenti contenuti nelle circolari n. 18/2012 e n. 4/2013 del Ministero del Lavoro. Il primo comma dell’articolo 70 D.Lgs. 276/2003, alla luce delle citate modifiche, indica come prestazioni di lavoro accessorio quelle attività lavorative di natura “meramente occasionale” che non danno luogo a compensi complessivamente percepiti dal prestatore superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, con riferimento alla totalità dei committenti. Il compenso annuale riferito al singolo prestatore, pertanto, come indicato anche dalla circolare n. 4 del Ministero del lavoro, delinea oggettivamente la fattispecie del lavoro occasionale accessorio, in quanto il rispetto del limite di carattere economico per prestatore definisce la legittimità del ricorso al lavoro occasionale di tipo accessorio. Si prevede inoltre che, fermo restando il limite dei compensi fissato in linea generale a 5.000 euro, le prestazioni di natura meramente occasionale svolte a favore di imprenditori commerciali o professionisti, non possono comunque superare i 2.000 euro annui, con riferimento a ciascun committente. Considerato che il nuovo limite economico è sensibilmente più basso rispetto alla normativa previgente, diventa importante, segnala l’Inps, l’acquisizione da parte del committente della dichiarazione rilasciata dal prestatore in ordine al non superamento degli importi massimi annuali, che costituisce elemento necessario e sufficiente ad evitare, in capo al datore di lavoro, eventuali conseguenze di carattere sanzionatorio. Per quanto riguarda le modalità di contatto per effettuare la comunicazione obbligatoria di inizio attività, che attualmente sono differenziate a seconda del canale di acquisto dei buoni lavoro, l’Inps anticipa che, a seguito di un accordo Inail-Inps la dichiarazione preventiva di inizio prestazione in caso di utilizzo di voucher cartacei non potrà più essere effettuata via fax all’Inail, ma direttamente all’Inps attraverso i canali consueti (sito istituzionale, contact center integrato o sede).