giovedì 25 luglio 2013

Le novità introdotte dalla riforma Fornero sul contratto a progetto


La legge n. 92 del 2012 voluta dal Ministro Fornero (Riforma del mercato del lavoro) è intervenuta a modificare la disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto, introducendo limiti alla stipula del contratto a progetto. L’obiettivo dichiarato è quello di contrastare decisamente l’utilizzo non corretto di questa tipologia di contratto parasubordinato[1]. L’articolo 1 comma 23, lett. a), della legge n. 92/2012 ha riscritto integralmente l’art. 61, comma 1, del D. Lgs. n. 276/2003.
Il contratto di lavoro a progetto, anche dopo la riforma del mercato del lavoro di cui alla Legge 92/2012, rimane connotato delle sue caratteristiche essenziali.
Il contratto di lavoro a progetto deve avere forma scritta e contenere i seguenti elementi:
·        indicazione della durata che può essere determinata (ad esempio con indicazione di una data specifica), ovvero determinabile (ad esempio con l'individuazione di un elemento ovvero un evento particolare a cui ricondurne la durata);
·        indicazione del progetto;
·        ammontare del corrispettivo erogato e criteri con cui è stato quantificato;
·        indicazione dei tempi e modi di pagamento;
·        indicazione delle modalità di determinazione di eventuali rimborsi spese;
·        forme di coordinamento del lavoratore con il committente;
·        misure di sicurezza adottate nei confronti del lavoratore a progetto.
Pur rimanendo, i predetti requisiti, essenziali del contratto, il legislatore è intervenuto modificando con la Riforma Fornero, diversi aspetti relativi al ricorso al contratto a progetto, soprattutto in termini di requisiti che deve avere il progetto alla base della stipula del contratto nonché il contratto a progetto stesso. I principi introdotti – in sintesi - sono i seguenti:
1.     Progetti specifici. La legge dice: “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici”. Quindi non più a “programmi di lavoro o fase di esso”;
2.     Risultato finale. Il progetto deve essere “funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale”. Quindi è stato rafforzato l’ottenimento di uno specifico obiettivo, ossia la realizzazione del progetto;
3.     Descrizione del progetto. Mentre in precedenza era richiesta una indicazione del progetto, ora è necessaria una “descrizione del progetto con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire”;
4.     Non coincidenza con oggetto sociale del committente. Il progetto quindi “non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente”. Quindi viene rafforzata la “specificità” del progetto;
5.     Compiti non meramente esecutivi e ripetitivi. Il progetto “non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi”[2]. Quindi il collaboratore a progetto deve lavorare con autonomia, anche operativa.

Approfondiamo i punti evidenziati sopra: il contratto deve avere ad oggetto uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato. Viene cassata, nella attuale riforma del lavoro, la modalità di “ lavoro a programma o fase di esso ” delineata dalla Riforma Biagi , che – si ricordi – prevedeva la possibilità di instaurare un rapporto di collaborazione senza uno specifico obiettivo progettuale: Il programma di lavoro o la fase di esso si caratterizzavano, infatti, per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali ( Circolare Ministero del Lavoro nr. 1/2004).
Essenza della collaborazione a progetto, rimane l’autonomia del collaboratore nello svolgimento del rapporto e nel perseguimento dell’obiettivo progettuale. Ciò perché l'interesse del creditore  (committente) è relativo al perfezionamento del risultato convenuto e non, come avviene nel lavoro subordinato, alla disponibilità di una prestazione di lavoro etero diretta.
La mancanza in concreto di uno o più predetti elementi , determina la
qualificazione del contratto come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Secondo la precedente normativa, il corrispettivo deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e deve tenere conto del compenso normalmente corrisposto in caso di lavoro autonomo per una analoga prestazione.
In caso di infortunio, malattia o maternità il contratto viene sospeso, senza erogazione del corrispettivo; le suddette cause non comportano dunque automaticamente la risoluzione del contratto. La sospensione non comporta la proroga del contratto se non è stata espressamente prevista. Il medesimo viene risolto solo se la sospensione si protrae per un periodo superiore ad 1/6 della durata stabilita, se è determinata, oppure per un periodo superiore a 30 giorni, se la durata è determinabile. La sospensione per maternità proroga il contratto per
180 giorni, ma le parti possono eventualmente prevedere un periodo maggiore.
La risoluzione del contratto si ha con la realizzazione del progetto o, meglio, con la realizzazione dell’obiettivo progettuale. Relativamente alle collaborazioni di durata determinabile, il termine della collaborazione viene ad essere funzionale ad un avvenimento futuro, certo nell'anno ,ma non anche necessariamente nel quando.
Secondo le norme dettate dalla riforma Biagi, alle parti veniva data facoltà di recesso prima della scadenza per giusta causa o secondo eventuali diverse modalità concordate tra le parti in sede contrattuale .
Il comma 23 e ss. dell’art. 1 della Legge 92/2012 specifica ulteriormente che il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l'organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività' lavorativa. Si aggiunga che il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che
possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Tale disposizione va ragionevolmente interpretata nel senso che la contrattazione collettiva può già contenere nelle proprie declaratorie, elementi tali da individuare compiti meramente esecutivi o ripetitivi, come anche, nella contrattazione a venire, potranno essere espressamente individuate tali prestazioni di lavoro , da escludere quindi dalla instaurazione di collaborazioni a progetto.
Tra gli elementi essenziali del contratto a progetto, la novella pone l’accento sulla necessità della descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire. E’ evidente che tali elementi devono essere specifici e chiaramente deducibili. Secondo il nuovo dettato legislativo, l'individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Novità anche in relazione al corrispettivo: stabilisce la riforma che il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito (parametri di difficile applicazione ma già contenuti nel Dlgs 276/2003) e, in relazione a ciò nonchè alla particolare natura della prestazione e del contratto che la regola, non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività', sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati.
Il parametrare il corrispettivo dovuto al collaboratore alle analoghe condizioni economiche stabilite nei CCNL , rappresenta una vera e propria inversione di rotta. Si noti, infatti, che il Ministero del Lavoro – nella richiamata circolare nr. 1/2004 in applicazione alle disposizioni ratione temporis di riferimento, aveva sottolineato che “stante la lettera della legge (art. 63) non potranno essere in alcun modo utilizzate le disposizioni in materia di retribuzione stabilite nella contrattazione collettiva per i lavoratori subordinati.”.
In assenza di contrattazione collettiva specifica – prosegue il testo di riforma – il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.
In sostanza, la mancanza di una contrattazione specifica non giustifica affatto la determinazione di un corrispettivo forfettario o magari concordato tra le parti, dovendosi invece far comunque riferimento a parametri contrattuali perlomeno analoghi o similari.
La complessiva disposizione comporta che è rimesso al committente – in caso di contestazioni specifiche – l’onere della prova di essersi attenuto ad una fonte contrattuale precisamente individuata ai fini della determinazione del corrispettivo. Possono obiettivamente manifestarsi fondate perplessità per la narrata discrezionalità affidata dal legislatore al committente, che potrà comunque essere chiamato alla corresponsione di differenze in aumento sul corrispettivo, ove esista una contrattazione analoga di miglior favore per il collaboratore.
La riforma provvede anche ad innovare le modalità di recesso dal contratto prima della scadenza del termine: ferma restando l’ipotesi di giusta causa esercitabile dal committente, questi può altresì recedere qualora siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto. Se da una parte quindi, viene eliminata la facoltà delle parti di adottare clausole particolari di recesso già nell’atto contrattuale, se ne introduce un’altra esclusivamente posta nella discrezionalità del committente.
Anche in questo caso, la sindacabilità della decisione e delle valutazioni del committente poste alla base del recesso, non potrà che essere rimessa al giudice.
Va qui evidenziato che permanendo nell’impianto legislativo le due ipotesi di durata determinata o determinabile del rapporto di lavoro, i sopravvenuti profili di inidoneità del collaboratore, potranno essere fatti valere indifferentemente su ambedue le tipologie: nel secondo caso, infatti, pur non essendo fissato espressamente il termine del rapporto ma essendo fissato unicamente il verificarsi di un evento o una condizione prossimi, anche in tal caso l’inidoneità professionale del collaboratore potrà comunque essere fatta valere in corso di collaborazione.
Sempre in materia di recesso, viene stabilito che il collaboratore può anch’egli recedere prima della scadenza del termine, dandone preavviso, ma solo nel caso in cui tale facoltà sia espressamente prevista nel contratto individuale di lavoro.
Ne consegue, che in mancanza della specifica previsione contrattuale, al lavoratore è di fatto negata la facoltà di recesso anticipato con preavviso, esponendolo – nel caso si verifichi il recesso anticipato – a legittima richiesta di danni da parte del committente per inadempienza contrattuale.
Assolutamente stringente appare infine la norma relativa alle modalità concrete di svolgimento del progetto e, prima ancora, alla sua individuazione.
Si stabilisce infatti che salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l'attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell'impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Ciò ha essenziale rilievo sulla genuinità della collaborazione: il committente pertanto, nella individuazione dello specifico progetto, oltre a escludere modalità meramente esecutive o ripetitive per lo svolgimento del progetto individuato nei suoi specifici elementi caratterizzanti, dovrà preventivamente comparare le prestazioni oggetto della collaborazione con eventuali analoghe modalità espresse dai lavoratori dipendenti dell’impresa, al fine di individuare le differenze in concreto, poste a sostegno della genuinità della collaborazione.
La recente riforma, oggetto di disanima,  ha apportato sostanziali modifiche sulla fattispecie (progetto) e sugli effetti (compenso minimo garantito) rappresentando un forte e generalizzato deterrente all'utilizzo dello strumento contrattuale. Per tutti i profili professionali, anche i più elevati, il nuovo concetto di progetto restringerà la possibilità di ricorrere al lavoro autonomo, pur non restando esente da ambiguità interpretative che potrebbero incidere sulla concorrenza, almeno fino a quando non emergerà un'interpretazione prevalente, per la probabile disomogeneità degli orientamenti giurisprudenziali ed anche per la nota difficoltà degli uffici ispettivi periferici del Ministero del lavoro ad operare secondo criteri standardizzati validi per l'intero territorio nazionale, nonostante la circolare interpretativa che più oltre analizzeremo, sia molto dettagliata. Per i tutti i profili professionali, ma la questione riguarderà soprattutto quelli più bassi, viene meno la caratteristica sino ad oggi più caratterizzante (ed anche più controversa) del lavoro autonomo e, cioè, la possibilità di compensare la prestazione solo in caso di raggiungimento del risultato convenuto e nella misura individualmente concordata.
Se l'intenzione era quella di limitare in generale l'utilizzo del contratto di lavoro a progetto l'obiettivo sembra alla portata di questa riforma, fermi i dubbi (non secondari, quanto ad effetti pratici) nella definizione del concetto di progetto.
Se l'intenzione era invece quella di consentire l'utilizzo del contratto di lavoro a progetto solo per le professionalità più elevate, il doppio limite introdotto dalla riforma (restrizione del concetto di progetto e salario minimo garantito) potrebbe rilevarsi eccessivo. Era forse possibile mettere in discussione la nozione tecnico funzionale di subordinazione a vantaggio di un'attenta valorizzazione del profilo della dipendenza, intesa come soggezione economico sociale del lavoratore. Ed in una siffatta prospettiva era forse possibile lavorare solo sull'aspetto retributivo del lavoro autonomo e non anche sul concetto di progetto, magari legittimando l'accesso a questa tipologia contrattuale solo qualora il corrispettivo pattuito per l'esecuzione dell'opera fosse superiore ad una determinata soglia economica da individuare con riferimento ai livelli retributivi intermedi dei principali contratti collettivi nazionali. Da questo punto di vista le restrizioni all'utilizzo del contratto di lavoro a progetto introdotte dalla riforma sembrano poco selettive e potrebbero quindi pregiudicare, in ragione della più ristretta nozione di progetto, le aspettative della fascia più professionalizzata degli aspiranti







[1] In materia di lavoro autonomo gli interventi della riforma del lavoro del Governo Monti sono tutti orientati in senso restrittivo e perseguono l'evidente obiettivo di indurre il mercato ad un maggiore utilizzo del contratto di lavoro subordinato. È possibile, invero, che proprio questa parte della riforma, sebbene appena modificata, sarà oggetto di ulteriori interventi correttivi. È dunque di primaria importanza non solo approfondire le novità legislative oggi introdotte dalla riforma su prestazioni d'opera, collaborazioni coordinate e continuative e contratto di lavoro a progetto ma anche - ricordato che l'obiettivo centrale della riforma è la crescita sociale ed economica - capire se le innovazioni introdotte sono effettivamente tarate per scongiurare gli abusi o, piuttosto, rischiano di precludere l'accesso ad un particolare segmento del lavoro flessibile che in questi anni ha offerto una soluzione occupazionale per chi ambiva a gestire autonomamente il proprio tempo di lavoro.
[2] Grandi incertezze, derivano dal fatto che ai sensi del novellato art. 61, comma 1°, del d.lgs. n. 276 del 2003, il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Da un punto di vista sistematico va segnalato, anzitutto, che fino ad oggi anche un'attività ripetitiva poteva essere funzionale alla realizzazione di un determinato risultato finale come avviene, ad esempio, nel caso in cui il committente affidi al collaboratore il progetto di riorganizzare le cartelle di un archivio. Solo per il contratto di lavoro a progetto, e non anche per le altre tipologie contrattuali di lavoro autonomo, è dunque per la prima volta superato il consolidato principio secondo cui qualsiasi attività lavorativa economicamente valutabile poteva essere dedotta in un contratto di lavoro subordinato od autonomo a seconda delle modalità di svolgimento della prestazione.
Ciò premesso, resta comunque da osservare che la disposizione lascia un eccessivo margine di valutazione discrezionale al Giudice, cui spetterà il non agevole compito di distinguere le attività meramente esecutive o ripetitive dalle altre, se non interpretata nel senso che questa limitazione è demandata ad accordi collettivi sottoscritti da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui la legge affida il compito di individuare le attività meramente esecutive e ripetitive.
Difficile, per il vero, capire quale fosse la reale intenzione del legislatore al riguardo. Sembra più plausibile l'interpretazione per la quale il divieto è immediatamente precettivo ("il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi") ma suscettibile di specificazione da parte dell'autonomia collettiva (che "può" individuare quei compiti).
Altresì incerto è il livello di contrattazione collettiva autorizzato a tale specificazione giacchè se non v'è dubbio che per i lavoratori l'accordo deve essere sottoscritto da sindacati nazionali comparativamente più rappresentativi non è affatto chiaro se possa trattarsi anche di un contratto collettivo aziendale (dunque sottoscritto da una singola impresa, seppur con le organizzazioni dei lavoratori di livello nazionale).
Il dubbio deriva dal fatto che la legge attribuisce tale facoltà alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale senza specificare, come invece è stato fatto in altre disposizioni della medesima legge n. 92 del 2012, se il requisito è riferito alle sole rappresentanze dei lavoratori o no.
[3] Assai rilevanti le specificità introdotte per il settore dei call center ove il legislatore, con una modifica apportata all'art. 61 del d.lgs. n. 276 del 2001 in sede di conversione del d.l. n. 83 del 2012, ha rimodulato l'applicabilità della disciplina generale del contratto di lavoro a progetto nel caso in cui il contratto abbia ad oggetto "attività di vendita diretta di beni e servizi realizzate attraverso call center "outbound" per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento".
Non c'è dubbio che la novità, qualunque essa sia, è circoscritta ad una tipologia di attività ben individuata con riferimento alla vendita di beni e servizi, effettuata dal collaboratore tramite call center che contattano l'utenza (outbound) producendo chiamate verso l'esterno (l'attività di risposta alle chiamate che provengono dall'esterno è infatti comunemente denominata inbound). Non si tratta dell'unica attività svolta con modalità outbound (basti pensare anche alle indagini statistiche od al recupero crediti) ma certamente è l'unica attività presa in considerazione dal nuovo testo dell'art. 61 del d.lgs. n. 276 del 2001. Ne deriva che per le ulteriori attività effettuate tramite call center outbound continua a trovare applicazione la disciplina comune del lavoro a progetto.
Queste attività di vendita vengono oggi assimilate a quelle degli agenti e dei rappresentanti di commercio, per le quali il d.lgs. n. 276 del 2001 ha escluso sin dal principio l'applicazione della disciplina del lavoro a progetto sul presupposto che i contratti di agenzia e rappresentanza commerciale avessero già - come hanno tutt'ora - una loro tipicità nel codice civile. Il problema, però, è che per le attività di vendita tramite call center outbound non esiste alcun contratto di lavoro tipico e neanche una disciplina specifica che regolamenti l'utilizzo delle collaborazioni autonome. Ne deriva che l'unica disciplina speciale esistente da prendere in considerazione è quella introdotta con il medesimo emendamento che ha modificato l'art. 61 del d.lgs. n. 276 del 2003 che, oggi, per queste attività: a) prevede che siano utilizzati i contratti di collaborazione a progetto ("il ricorso ai contratti di lavoro a progetto è consentito"; c) ma ciò solo "sulla base" del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva di riferimento.
Difficile intendere la portata di questa disciplina speciale e, soprattutto, il suo rapporto con la disciplina generale del contratto di lavoro a progetto.
Anzitutto c'è da chiedersi se per l'attività di vendita realizzata mediante call center outbound il contratto di lavoro a progetto può essere utilizzato solo a condizione che la contrattazione collettiva nazionale di riferimento abbia definito il compenso dovuto oppure no. Che si tratti di una condizione pare abbastanza chiaro nella misura in cui, letteralmente, il ricorso al contratto di lavoro a progetto "è consentito sulla base del corrispettivo ..." la cui strutturazione è oggi - solo per questa particolare categoria di lavoratori a progetto - integralmente rimessa alla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, senza i vincoli posti dal nuovo art. 63 del d.lgs. n. 276 del 2003 per i contratti di lavoro a progetto in generale. D'altra parte la disposizione si potrebbe però anche interpretare nel senso che la legge ha autorizzato la contrattazione collettiva a definire il compenso di questi collaboratori in deroga alla disciplina generale con la conseguenza che, in mancanza di specifiche pattuizioni collettive destinate ai venditori dei call center outbound, è alla disciplina generale che le parti devono fare riferimento per la determinazione dei compensi. Interpretazione, quest'ultima, avvalorata dal fatto che diversamente ragionando si dovrebbe arrivare alla conclusione (opposta a quella probabilmente voluta dall'emendamento che proprio per i venditori intendeva agevolare l'utilizzo di questi contratti) che solo per i venditori - e non per le altre categorie di lavoratori a progetto - la legge avrebbe condizionato l'utilizzabilità del contratto all'esistenza di un preventivo accordo sindacale.

Altresì incerto è l'impatto delle modifiche apportate all'art. 61 del d.lgs. n. 276 del 2003 dalla legge n. 134 del 2012 sugli ulteriori profili della disciplina generale del contratto di lavoro a progetto ed, in particolare, sull'individuazione dei requisiti del progetto.
Secondo un prima interpretazione si potrebbe sostenere che per le attività di vendita tramite call center outbound il legislatore ha autorizzato l'utilizzo del contratto di lavoro a progetto in deroga ai suoi presupposti costitutivi. In altri termini, la deroga rispetto alla disciplina generale del contratto di lavoro a progetto riguarderebbe anche la definizione del progetto, che avrebbe una sorta di preventiva autorizzazione da parte del legislatore, con la conseguenza che non opererebbero i limiti delle attività meramente esecutive, della coincidenza con l'oggetto sociale, della riconducibilità ad un determinato risultato finale. Il legislatore avrebbe dunque chiarito che l'attività di vendita realizzata tramite call center outbound è validamente riconducibile ad un progetto e ne può costituire, essa stessa, l'essenza qualificante.
La seconda interpretazione possibile è invece più restrittiva e porterebbe ad affermare che per queste attività si può utilizzare il contratto di lavoro a progetto secondo la disciplina generale dell'istituto con solo due deroghe: a) quella relativa alla determinazione del compenso minimo dovuto, di cui si è già detto; b) nonché quella relativa alla verifica della natura meramente esecutiva o ripetitiva della prestazione, per la quale l'esplicita riconducibilità al progetto dell'attività di vendita sembra destinata a prevalere, quale disposizione speciale, sulla regola generale per la quale "il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi". Se così inteso, l'emendamento avrebbe dunque una portata innovativa assai più circoscritta in quanto la riconducibilità al progetto delle attività di vendita resterebbe di fatto possibile solo nel caso in cui il progetto abbia le ulteriori caratteristiche richieste dall'art. 61 del d.lgs. n. 276 del 2003 sotto il profilo della individuazione del risultato finale e della non coincidenza con l'oggetto sociale.

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