lunedì 20 maggio 2013

La dichiarazione di addebito invalida il precedente accordo patrimoniale tra i coniugi


Il patto siglato tra i coniugi al termine di un periodo di crisi matrimoniale per regolare i loro rapporti economici non può essere considerato vincolante in sede di separazione nel caso in cui si sia in presenza di una dichiarazione di addebito. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 10718 di oggi, spiegando che “la dichiarazione di addebito e le conseguenze patrimoniali ad esse ex lege riconducibili (articolo 156, primo e terzo comma Cc) inducono ad escluderne radicalmente la vincolatività”.

I giudici della Suprema corte hanno, invece, accolto il ricorso della moglie in merito alla richiesta dell’assegno alimentare, precedentemente bocciata in appello perché tardiva. Per la Cassazione, infatti, tale domanda “costituisce un minus ricompreso nella più ampia domanda di riconoscimento di un assegno di mantenimento per il coniuge. Si tratta pertanto di una domanda ammissibile, ancorché formulata, in conseguenza della dichiarazione di addebito per la prima volta in appello che non può essere qualificata come nuova ai sensi dell’articolo 345 Cpc, considerata anche la natura degli interessi ad essa sottostanti”.

Corte di cassazione - Sezione I civile - sentenza 8 maggio 2031 n. 10718

Guida in stato di ebbrezza. Condanna ai lavori socialmente utili


Sì ai lavori socialmente utili in alternativa alla sospensione condizionale della pena
Corte di cassazione - Sezione III penale - Sentenza 14 maggio 2013 n. 20726
La richiesta di svolgere i lavori socialmente utili da parte del condannato per guida in stato di ebbrezza non può essere rifiutata perché è stata disposta la sospensione condizionale della pena. Infatti, si tratta di una misura più favorevole al reo che dunque non può essere rifiutata se non nei casi previsti dalla legge. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 20726/2013, censurando la pronuncia della Corte di appello che aveva negato il beneficio perché non avrebbe comportato “ex se la rinuncia implicita al beneficio già concesso della sospensione condizionale, né tanto meno la revoca automatica”. Il collegio perugino si era spinto anche più avanti fornendo un giudizio di “adeguatezza” sulla misura, non previsto dalla legge, in base al quale aveva ritenuto la misura non idonea ad assolvere alla funzione rieducativa per via dell’estrema esiguità della durata della pena.

La Suprema corte, dunque, nel rinviare il giudizio alla Corte di appello, ha affermato i seguenti principi di diritto: “La richiesta da parte del condannato cui sia stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, di fruire della pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità previsto dal comma 9bis dell’art. 186 cod. strad. implica una rinuncia tacita al beneficio di cui all’art. 163 cod. pen. eventualmente concesso in precedenza, stante la incompatibilità tra i due istituti e non necessita di un consenso espresso, essendo sufficiente la non opposizione dell’interessato in deroga a quanto previsto dall’art. 54 del Dlgs 274/00”.

Inoltre, “La pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità costituisce norma di diritto penale sostanziale che trova applicazione secondo principi generali previsti dall’art. 2 del Codice penale e che in concreto risulta più favorevole rispetto al beneficio di cui all’art. 163 cod. pen.”.

E ancora “La decisione che il giudice di merito è chiamato ad adottare in ordine alla applicabilità della sanzione sostitutiva prescinde da valutazioni di tipo discrezionale quanto alla sua durata - ma non alle concrete modalità applicative - ed è legata, da un lato, alla insussistenza delle condizioni ostative previste per legge (circostanza aggravante dell’avere causato un incidente stradale e pregressa fruizione di analoga pena sostituiva) in via alternativa e/o cumulativa e, dall’altro, al requisito positivo della non opposizione da parte del condannato (o di una sua richiesta esplicita o consenso espresso) alla applicazione della pena sostitutiva medesima”.

Infatti, “il criterio di durata e quello di commisurazione della pena sostitutiva rispetto alla pena originaria sono predeterminati per legge e dunque insuscettibili di una valutazione discrezionale da parte del giudice che deve attenersi ai criteri generali di ragguaglio normativamente previsti”.