venerdì 15 luglio 2016

È violazione di corrispondenza anche se la password di accesso alla mail è conosciuta

Violazione di corrispondenza

Si configura il reato di violazione della corrispondenza nella condotta di accesso ad una comunicazione e-mail indirizzata ad altri anche se la password di accesso alla casella di posta elettronica risulta nota per effetto di memorizzazione automatica del computer dal quale si accede alla casella predetta. Così stabilisce la sentenza n. 24 del 01.04. 2016 della Corte d’Appello di Taranto – Sezione Penale.

Nel caso in esame la in esame la Corte d’Appello di Taranto – Sezione Penale è stata investita della questione di valutare lasussistenza del reato di violazione della corrispondenza in una situazione in cui un soggetto, diverso dal destinatario di comunicazioni pervenute via e-mail, aveva potuto prendere cognizione ed utilizzare le stesse in quanto la password di accesso alla casella di posta elettronica era rimasta memorizzata automaticamente nel computer da cui la persona a cui la corrispondenza era indirizzata si era collegato in varie occasioni.
Il caso
Nell’ambito di una procedura giudiziale di separazione personale tra coniugi, la moglie produceva in giudizio della corrispondenza informatica destinata al proprio coniuge dopo che era già intervenuta la separazione di “fatto”.
In particolare, la donna aveva ottenuto le e-mail inviate all’indirizzo di posta elettronica del marito collegandosi alla sua casella con un computer che si trovava in suo possesso e che il coniuge aveva usato in diverse occasioni per accedere alla propria posta elettronica, terminale sul quale erano rimaste memorizzate automaticamente la password di accesso.
A fronte di ciò, il marito querelava la moglie per violazione di corrispondenza e questa veniva riconosciuta responsabile del reato ascrittole e condannata in primo grado dal Tribunale di Taranto – Sezione Penale.
L’appello
Avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Taranto – Sezione Penale proponeva appello l’imputata, a mezzo del suo difensore di fiducia.
Con i motivi di gravame veniva contestata, innanzi tutto, la procedibilià dell’azione penale per essere stata proposta la querela tardivamente e da un soggetto non abilitato a ciò e, nel merito, veniva chiesta l’assoluzione.
La richiesta assolutoria si fondava sul fatto che, da un lato, l’imputata fosse in possesso della password di accesso alla casella di posta elettronica e, per tale motivo, fosse implicitamente autorizzata a prendere cognizione delle e-mail pervenute su detta casella, e, dall’altro, perché, in considerazione del fatto che le e-mail si visualizzavano automaticamente con l’accensione del computer, tale corrispondenza informatica non poteva essere considerata “chiusa”, condizione necessaria ad integrare la fattispecie di cui all’art. 616 c.p. che punisce esplicitamente la sola violazione di una corrispondenza “chiusa”.
Da ultimo, veniva altresì rilevato che comunque l’utilizzazione delle e-mail nel procedimento di separazione fosse scriminata perché tramite essa l’imputata faceva valere un proprio diritto in giudizio
La decisione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello di Taranto – Sezione Penale respinge le doglianze dell’imputata, ritenendo l’appello del tutto infondato.
Sinteticamente, in merito all’aspetto della procedibilità dell’azione, viene evidenziato come la querela sia stata proposta entro i tre mesi dalla conoscenza del fatto, nonché dal difensore di fiducia espressamente delegato al deposito della stessa e, dunque, in maniera assolutamente conforme alla normativa penale.
Quanto poi alla circostanza che la produzione nel giudizio di separazione delle e-mail in esame potesse risultare giustificata in quanto esercizio di un proprio diritto, la Corte rilevava l’insussistenza di esigenze difensive a fondamento della produzione nel processo civile da parte dell’imputata, con la conseguenza che detta produzione risultava del tutto priva di giustificazione e, ovviamente, inidonea a produrre efficacia scriminante.
Ciò detto, maggiore attenzione ed interesse riveste la motivazione addotta dalla Corte d’Appello in ordine al merito della vicenda, ovvero circa la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie disciplinata dall’art. 616 del codice penale.
In primo luogo, la Corte adita sottolinea come, per le modalità di conoscenza della password di accesso alla casella di posta elettronica, non potesse logicamente dedursi una autorizzazione implicita della moglie ad accedere alle comunicazioni e-mail del marito.
Viene precisato come l’indirizzo mail sul quale erano state inviate le comunicazioni di posta elettronica fosse un indirizzo personale del marito e non comune dei coniugi.
Inoltre, la conoscenza della password dal parte dell’imputata non trovava la sua giustificazione nel fatto che il marito avesse volontariamente comunicato la chiave d’accesso alla moglie, bensì in virtù di un programma di memorizzazione automatica della password che era attivo sul computer e che aveva consentito all’imputata di accedere alla posta elettronica della persona offesa.
Invero, non era dunque corretto affermare che l’imputata fosse a conoscenza della chiave d’accesso alla casella di posta elettronica del marito, ma bensì che pur non avendo avuto comunicazione della stessa aveva avuto modo di superare quella protezione che avrebbe dovuto garantire la password in virtù di un sistema automatico di memorizzazione del computer utilizzato che le aveva comunque permesso l’accesso.
Pertanto, non vi era mai stata una condotta da cui potesse dedursi che il marito avesse autorizzato anche solo implicitamente la moglie ad accedere alla propria casella personale di posta elettronica ed il fatto che la moglie, viceversa, avesse sostanzialmente approfittato del sistema informatico in maniera tale da consentirle di poter prendere visione della posta elettronica altrui integrava appieno la fattispecie di violazione della corrispondenza.
In secondo luogo, nell’atto di appello veniva anche contestata la natura di “corrispondenza chiusa” delle e-mail in esame, sulla scorta del fatto che la casella di posta elettronica venisse aperta immediatamente all’accensione del computer, ma anche questa doglianza veniva ritenuta infondata dalla Corte d’Appello.
Infatti, veniva precisato come il fatto della apertura automatica della casella di posta elettronica non potesse in alcun modo giustificare l’accesso al contenuto dei singoli messaggi.
L’apertura delle singole mail operata dall’imputata nel caso di specie era, dunque, equivalente all’apertura di una busta chiusa e, come tale, era condotta idonea ad integrare la fattispecie di cui all’art. 616 c.p.
In sostanza, veniva evidenziato come la stringa in cui era indicato mittente, oggetto ed eventualmente l’incipit della comunicazione che compare nella così detta home page della casella di posta elettronica era del tutto equiparabile ad una busta chiusa di corrispondenza ordinaria, giacché per accedere al completo contenuto della e-mail era stato necessario aprire la mail medesima in una finestra che ne consentisse di visualizzare il contenuto stesso.
In conclusione, la Corte d’Appello di Taranto afferma che la conoscenza della password di una casella di posta elettronica non può valere di per sé solo come autorizzazione implicita ad accedere alla casella stessa, escludendo anzi che una simile autorizzazione possa ritenersi sussistere ove tale conoscenza non derivi da una condivisione esplicita di tale dato ad opera dell’avente diritto, e che la mail che compare sulla home page della casella di posta elettronica ha pienamente valore di corrispondenza “chiusa” in quanto per accedere al suo contenuto è necessario aprire una finestra di visualizzazione, alla stregua di come per accedere al contenuto di una corrispondenza “chiusa” è necessario aprire la busta ed estrarre la lettera in essa contenuta.

Fonte: di Michele Galasso - quotidiano giuridico