lunedì 20 ottobre 2014

È colpa del datore se l'operaio cade dalla scala dimenticata da ter

SICUREZZA LAVORO

Corte di cassazione - sezione IV penale - sentenza 17 ottobre 2014 n. 43459

Responsabilità penale per il datore che non elimini attrezzature pericolose per i lavoratori. Il principio vale anche se lo strumento che ha causato l'infortunio sia stato lasciato dalla precedente società andata via. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 43459/2014
I fatti. Alla base della vicenda un operaio che salito su una scala era caduto a terra riportando fratture in diverse parti del corpo. Il Tribunale di Firenze aveva dichiarato il legale rappresentante responsabile di lesione personali (ex articolo 590, commi 1, 2 e 3 del codice penale). La decisione veniva confermata dalla Corte di appello (sentenza 18 maggio 2012). Di qui l'appello dell'imputato in Cassazione. Tra i vari motivi d'impugnazione la mancata concessione del patteggiamento. Sul punto i giudici di merito avevano considerato la gravità del fatto e il grado della colpa e non avevano preso in considerazione la sua incensuratezza e l'occasionalità dell'evento. I Supremi giudici adeguandosi alle sentenze di merito hanno riconosciuto in pieno la responsabilità del legale mrappresentante. 
Modalità dell’infortunio. Questo perchè l'operaio si era infortunato salendo su una scala che non rispettava la normativa antinfortunistica non avendo il mezzo dispositivi antisdrucciolevoli nonchè ganci di trattenuta. E a poco è interessato che la scala si trovasse in quel posto per caso e che quindi l'operaio se ne fosse servito senza chiedere nulla. In questo caso il legale rappresentante avrebbe dovuto verificare che nella struttura fossero presenti mezzi a norma anche se (come nel caso) appartenessero alla precedente azienda da poco andata via. 
Conclusioni. Il fatto che l'operaio infortunato, pur risalendo al medesimo una condotta imprudente e avventata (che comunque il datore di lavoro è tenuto a scongiurare in ottemperanza alle norme di prevenzione antinfortunistica), avesse usato la prima scala esistente a portata di mano senza averne cercata un'altra più sicura per assolvere alle proprie mansioni, non integrava comportamento anomalo o imprevedibile od ontologicamente avulso dalle incombenze allo stesso demandate nell'azienda. Di qui il riconoscimento anche in sede di legittimità della responsabilità del datore.
fonte: | 17/10/2014 - Guida al diritto

mercoledì 15 ottobre 2014

Social network, è reato creare un falso profilo con nome e foto altrui

Social network, è reato creare un falso profilo con nome e foto altrui

Andrea Alberto Moramarco

Integra il reato di sostituzione di persona, ai sensi dell'articolo 494 del codice penale , la condotta di colui che crei un account su un social network, usando delle foto di una persona del tutto inconsapevole, ed utilizzi il profilo creato per comunicare con altri iscritti e per condividere materiale in rete. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 25774/2014 .

La vicenda
 - Un ragazzo creava su un noto social network un falso account utilizzando il nome e l'immagine di un'altra persona, descrivendo il falso titolare del profilo in maniera fittizia e volgare, inducendo così in errore gli altri utenti che comunicavano con lui attraverso la chat. I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano condannato l'imputato per il delitto di sostituzione di persona, ritenendo sussistenti tutti gli elementi della fattispecie, dall'attribuzione della diversa identità al danno arrecato all'immagine della vittima.

Le motivazioni
 - In seguito al ricorso, la Cassazione conferma le sentenze di merito ritenendo che la condotta incriminata abbia procurato un vantaggio all'utilizzatore del profilo, consistente nella possibilità di "chattare" con altre persone, e un danno all'immagine e alla dignità della vittima. I giudici ricordano i precedenti casi del fenomeno di sostituzione di persona e comunicazione attraverso posta elettronica e social network e ritengono, semplicemente, che l'utilizzo dell'effige altrui, nonché la descrizione di un profilo poco lusinghiero «consente di riconoscere, oltre all'intento di conseguire un vantaggio non patrimoniale, quello di recare un danno all'altrui reputazione, intesa come l'immagine di sé presso gli altri».

Fonte: Il Quotidiano del Diritto - Andrea alberto Moramarco

martedì 14 ottobre 2014

Svolta sulla responsabilità medica, il paziente deve provare l'errore

SI APPLICA L'ART. 2043 COD. CIV
Svolta sulla responsabilità medica, il paziente deve provare l'errore
13/10/2014

Tribunale di Milano - Sezione I civile - Sentenza 17 luglio 2014


Se davvero si affermerà il principio per cui il rapporto con il medico ha natura extracontrattuale e sarà il paziente a dover dimostrare la colpa del professionista, così sovvertendo alcuni decenni di giurisprudenza, è ancora presto per dirlo. Certo è che dopo la sentenza del tribunale di Milano, datata 17 luglio 2014 (resa nota soltanto in queste ore), molti non esitano a parlare di "svolta". Così è per Roberto Carlo Rossi, presidente dell'Ordine dei medici del capoluogo lombardo: "È una sentenza storica".

La vicenda
La pronuncia dei giudici milanesi riguarda un processo intentato da un paziente al Policlinico di Milano e a un suo medico per un caso di paralisi delle corde vocali. La sentenza, interpretando la legge Balduzzi del 2012, ha stabilito che non è più il medico a dover provare la propria correttezza professionale, ma è il paziente che deve provare la colpa del medico. "Importante, inoltre – prosegue Rossi -, è anche il fatto che la sentenza, in base alla legge, riconosca che la presunta colpa si prescrive in 5 anni e non in 10 come in precedenza".

Balduzzi: una sollecitazione per la Cassazione
Per Renato Balduzzi, ex ministro della Salute e oggi nuovo componente del Csm, che da legislatore era intervenuto nel 2012 con un norma di 'alleggerimento' della colpa lieve del medico si tratta di una sentenza che "va letta come una sollecitazione a riconsiderare la giurisprudenza in materia". Per l'ex ministro però quella dei giudici di Milano "non è una pronuncia nuova, c'era già stato un tribunale di merito che aveva interpretato la norma in questa direzione ma la Cassazione aveva invece confermato l'orientamento tradizionale". "Per questo – ha proseguito - penso che la decisione sia da leggere come una sollecitazione alla Cassazione a riconsiderare la giurisprudenza".

La questione dell'articolo 2043 del c.c.
Da un punto di vista tecnico, secondo la sentenza, sia il tenore letterale dell'articolo 3 comma 1 della legge Balduzzi che l'intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d'opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex articolo 2043 c.c. e che, dunque, l'obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano (che il danneggiato ha l'onere di provare).

Nulla cambia per le struttura sanitarie
Ogni caso l'alleggerimento della responsabilità (anche) civile del medico "ospedaliero", che deriva dall'applicazione del criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalla legge Balduzzi (articolo 2043 c.c.), non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata), che è comunque di tipo "contrattuale" ex articolo 1218 c.c. (sia che si ritenga che l'obbligo di adempiere le prestazioni per la struttura sanitaria derivi dalla legge istitutiva del S.S.N. sia che si preferisca far derivare tale obbligo dalla conclusione del contratto atipico di "spedalità" o "assistenza sanitaria" con la sola accettazione del paziente presso la struttura).

Il diverso regime
Se dunque il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in "contatto" presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell'illecito ex articolo 2043 c.c. che l'attore ha l'onere di provare; se nel caso suddetto oltre al medico è convenuta dall'attore anche la struttura sanitaria presso la quale l'autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex articolo 2043 c.c. per il medico e quella ex articolo 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell'onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare tuttavia che, essendo unico il "fatto dannoso" (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell'articolo 2055 c.c.

Tutto uguale in caso di conclusione di un contratto d'opera
Secondo il tribunale di Milano, dunque, l'articolo 3 comma 1 della legge Balduzzi non incide né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) né su quello del medico che ha concluso con il paziente un contratto d'opera professionale (anche se nell'ambito della cd attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico): in tali casi sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d'opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall'articolo1218 c.c., ed è indifferente che il creditore/danneggiato agisca per ottenere il risarcimento del danno nei confronti della sola struttura, del solo medico o di entrambi.

Il richiamo nella norma suddetta all'obbligo di cui all'articolo 2043 c.c. per l'esercente la professione sanitaria che non risponde penalmente (per essersi attenuto alle linee guida), ma la cui condotta evidenzia una colpa lieve, non ha nessun riflesso sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, che ha concluso un contratto atipico con il paziente (o, se si preferisce, è comunque tenuta ex lege ad adempiere determinate prestazioni perché inserita nel S.S.N.) ed è chiamata a rispondere ex articolo1218 c.c. dell'inadempimento riferibile direttamente alla struttura anche quando derivi dall'operato dei suoi dipendenti e/o degli ausiliari di cui si è avvalsa (articolo 1228 c.c.).

Ordine di Milano, ora stop alla medicina difensiva
In conclusione per l'ordine dei medici di Milano la sentenza è positiva anche perché fino ad ora a causa dei costi dei premi assicurativi "molti medici non si sono più limitati a praticare solo le linee guida e le buone pratiche accreditate dalle comunità scientifica, ma si sono 'difesi' richiedendo esami diagnostici non necessari per il paziente e particolarmente onerosi per il servizio sanitario, oppure si rifiutano di trattare i casi più complicati e a rischio denuncia".
Resta ora da comprendere – conclude una nota - la portata di questa sentenza, ovvero se farà giurisprudenza nei confronti di tutti i medici o se, con un'interpretazione restrittiva, avrà un'efficacia limitata al solo ambito ospedaliero".

FONTE: Guida al diritto - Il sole 24 ore