lunedì 29 settembre 2014

Anche nello stupro possibile l'attenuante per "minore gravità"

Corte di cassazione – Sezione penale – Sentenza 25 settembre 2014 n. 39445

Per la Cassazione c'è stupro e stupro. Anche se la violenza carnale è stata "completa", infatti, l'attenuante prevista per i casi di «minore gravità» - con relativo sconto di pena fino a due terzi - non può escludersi a priori. Secondo i giudici di Piazza Cavour, sentenza 39445/201, dunque, è sempre necessaria una valutazione caso per caso delle ripercussioni, anche sul piano psichico, prodotte sulla vittima, non essendo più possibile basarsi unicamente sulla «tipologia dell'atto».

Fonte: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoPenale/2014-09-25/anche-stupro-possibile-attenuante-minore-gravita-185644.php 

Con la riforma della giustizia civile 50mila cause fuori dai tribunali

Oltre 50mila controversie fuori dai tribunali. È questa la prima valutazione d'impatto del decreto legge sulla giustizia civile (n. 132) fatta dallo stesso ministero. Se sia un numero soddisfacente e tale da permettere alla magistratura di aggredire in maniera più intensa l'arretrato e di ridurre la durata delle cause in primo grado è da vedere. Tuttavia, quando ancora non sono noti i contenuti delle correzioni che verranno apportate al testo da parte del Governo per rendere più appetibili le vie alternative di risoluzione delle liti, i numeri sono quelli contenuti nella relazione tecnica depositata in Senato dove ieri l'esame del provvedimento è proseguito con l'audizione delle associazioni forensi.

Nel dettaglio, sul versante della negoziazione assistita, anche se su questo quanto la componente di azzardo della stima è elevata, il ministero della Giustizia ritiene che potranno essere definiti attraverso questa procedura, anche nella sua veste di condizione di procedibilità in alcune aree del contenzioso, circa 35mila controversie. Con un effetto collaterale non proprio irrilevante determinato da una perdita di gettito, da mancato pagamento del contributo unificato, che si aggirerà intorno ai 3 milioni e mezzo.

A queste 35mila controversie destinate a non approdare mai davanti ai giudici se ne aggiungeranno poi altre 17mila. Tanti sono infatti procedimenti di separazione, di divorzio, di cambiamento delle condizioni economiche di entrambi che seguiranno una delle due vie semplificate messa punto dal decreto, una con la presenza necessaria di un avvocato, l'altra davanti all'ufficiale di stato civile. Un numero cui si arriva, spiegano i tecnici di via Arenula, tenendo conto che i procedimenti di separazione e divorzio sopravvenuti in corso d'anno sono circa 80mila, la metà dei quali con figli minori (la presenza di figli minori esclude il ricorso alle vie semplificate). In astratto, quindi, sono circa 40mila i procedimenti che potranno essere interessati dalle novità del decreto legge. Per le stime del ministero 10mila saranno gestiti attraverso la negoziazione assistita, mentre 7mila attraverso l'alternativa davanti all'ufficiale di stato civile.


Fonte: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoCivile/2014-09-25/con-riforma-giustizia-civile-50mila-cause-fuori-tribunali-111546.php 

mercoledì 24 settembre 2014

Il ritardo nel pagamento del canone autorizza lo sfratto


Il mancato pagamento di una sola rata, o anche il semplice ritardo nel versamento, può giustificare la risoluzione del contratto di locazione se previsto da una clausola risolutiva espressa. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 19865/2014, accogliendo il ricorso della società locatrice contro il conduttore di un immobile adibito ad uso commerciale che non aveva ottemperato al pagamento del canone trimestrale



Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 22 settembre 2014 n. 19865 - FONTE guida al diritto

Ingiusta detenzione per vizio formale, riparazione slegata dalla "colpa grave"





Chi ha subito il carcere a causa di un vizio dell'ordine di esecuzione derivante da un difetto di notifica della sentenza ha sempre diritto alla riparazione per ingiusta detenzione. Nessun rilievo ha dunque la condotta processuale dell'imputato – in questo caso contumace - che non può essere considerata rilevante al fine di individuarne una «colpa grave» tale da fargli perdere il diritto al risarcimento. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 37845/2014

martedì 15 luglio 2014

La Cassazione interviene sul lavoro festivo infrasettimanale

Sentenza Corte di cassazione, sez. civile, n. 13558/14; Attività prestata in giorno festivo infrasettimanale.
la corte di cassazione con sentenza del 13 giugno 2014, n.13558/14, ha respinto il ricorso del comune di Rieti contro un dipendente della Polizia Municipale, alla quale era stato riconosciuto con le precedenti sentenze il pagamento della maggiorazione per lavoro straordinario festivo.
La Corte, in analogia a recenti sentenze, ultima la sentenza del 6 novembre 2012 n. 23349, richiamata nella premessa del dispositivo, ha ritenuto che il tenore dell’articolo 22, quinto comma del CCNL del 1 settembre 2000 del comparto delle autonomie locali, renda palese la volontà di attribuire al dipendente che presti attività nel giorno festivo ricadente nel turno un’indennità con funzione di compensare il disagio derivante dalla particolare articolazione dell’orario di lavoro, mentre l’articolo 24 del CCNL dello stesso contratto, come modificato dall’art. 14 del CCNL 200/2001, prende in considerazione situazione legate al fatto che l’attività lavorativa viene prestata in giorni lavorativi, ossia indaga l’ipotesi di eccedenza delle ore prestate rispetto al normale orario di lavoro, in forza del lavoro prestato in giorno non lavorativo.
Conclude la Corte che il lavoratore turnista, in ragione del lavoro prestato in giorni festivi, ha diritto:

• Alla maggiorazione di cui al primo comma dell’articolo 24 del CCNL del 1 settembre 2000, come modificato dall’art. 14 del CCNL 200/2001, quando ciò avviene in coincidenza con il giorno destinato al riposo settimanale ( in tal caso la maggiorazione spetta anche in aggiunta al riposo compensativo);
• Alla corresponsione del secondo comma dello stesso articolo (in alternativa al riposo compensativo) quando la prestazione sia effettuata in giorno festivo oltre il normale orario di lavoro;
• Al solo compenso dell’articolo 22 quinto comma, del CCNL del 1 settembre 2000, per la prestazione resa in giorno festivo in regime di turnazione ed entro il normale orario di lavoro.

martedì 8 ottobre 2013

Tribunale di Bologna: discriminatorio il requisito del permesso di soggiorno CE per lungosoggiornanti ai fini dell’accesso all’assegno sociale

3.10.2013


Tribunale di Bologna: discriminatorio il requisito del permesso di soggiorno CE per lungosoggiornanti ai fini dell’accesso all’assegno sociale

Per i cittadini del Marocco va applicata la parità di trattamento prevista dall’Accordo di Associazione CE-Regno del Marocco.

Il Tribunale di Bologna, sez. lavoro, con sentenza dd. 30 settembre 2013 (R.G. 2313/2013), ha accolto il ricorso di una cittadina marocchina ultra sessantacinquenne cui era stato negato dall’INPS l’assegno sociale ex art. 3 comma 6 della legge n. 335/95 per mancanza del requisito della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti richiesto dall’art. 80 c. 19 legge n. 388/2000.
Il Tribunale di Bologna  ha innanzitutto affermato che la suddetta norma introdotta dalla legge n. 388/2000 è stata già dichiarata incostituzionale da diverse pronunce della Corte Costituzionale con riferimento a prestazioni collegate alla disabilità (sentenza n. 306/2008 fino alla n. 40/2013), e le medesime argomentazioni sollevate dal giudice delle leggi debbono ritenersi valide anche ai fini dell’erogazione dell’assegno sociale.
Il Tribunale di Bologna, inoltre, ricorda che i lavoratori marocchini e loro familiari godono del principio di parità di trattamento in materia di prestazioni di sicurezza sociale per effetto della legge 2 agosto 1999, n. 302 di ratifica ed esecuzione dell’Accordo euro-mediterraneo di associazione tra Comunità Europee e Regno del Marocco. Tale accordo, infatti, prevede all’art. 65 un’apposita clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale, nozione che va intesa nell’accezione così interpretata dalla Corte di Giustizia europea e tale da ricomprendere non solo le prestazioni contributive ma anche quelle cosiddette “miste” ovvero assistenziali e non sorrette da contributi, ma previste quali diritti soggettivi dalla legislazione vigente, così come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di Cassazione (Cass. Sez. lavo n. 17966 del 18 maggio 2011). I beneficiari della clausola di parità di trattamento non sono solo i lavoratori marocchini regolarmente residenti in un Paese UE, ma anche i loro familiari nei quali vanno inclusi anche gli ascendenti, così come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (causa Mesbah c. Belgio, C-179/98 dd. 11.11.1999).
Di conseguenza il giudice ha  accertato il comportamento discriminatorio dell’INPS nell’aver negato alla ricorrente l’assegno sociale e ha condannato l’amministrazione al pagamento del medesimo dalla data di presentazione della domanda amministrativa, oltre agli interessi legali, nonchè al pagamento delle spese legali del procedimento.
La sentenza del Tribunale di Bologna si aggiunge alle pronunce di diversi tribunali di merito che si erano già  espressi a favore dell’applicabilità diretta nell’ordinamento italiano della clausola di parità di trattamento e non discriminazione in materia di sicurezza sociale contenuta negli accordi di associazione euro-mediterranei. Si possono citare al riguardo almeno le seguenti decisioni giurisdizionali: Tribunale di Genova, ordinanza 3 giugno 2009, Ahmed CHAWQUI c. INPS (relativo all’assegno di invalidità); Tribunale di Verona, ordinanza 14 gennaio 2010, n. 745/09 (relativo all’indennità speciale per i ciechi); Corte di Appello di Torino, sentenza n. 1273/2007 del 14 novembre 2007  (relativa all’indennità di accompagnamento); Tribunale di Tivoli, ordinanza 15 novembre 2011 (R.G.A.C. n. 747/2011, relativa all’ assegno di maternità comunale) ;  Tribunale di Perugia, sez. lavoro, sentenza n. 825/2011 (XX c. Ministero economia e finanze, INPS e Comune di Assisi, relativa alla pensione civile d’invalidità); Tribunale di Lucca, sez. lavoro, sentenza n. 32/2013 del  17 gennaio 2013 (relativa alla pensione di inabilità lavorativa per disabili).
Per approfondimenti si rimanda anche al paragrafo 3.3.1.2. della guida pratica alla  tutela civile contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose  (a cura di Walter Citti - . Aggiornata all'agosto 2013).
Si ringrazia per la segnalazione l'avv. Nazzarena Zorzella, del foro di Bologna.
a cura del servizio antidiscriminazioni dell'ASGI. Progetto con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie  Charlemagne ONLUS.

giovedì 3 ottobre 2013

Malattia provocata da mobbing, no al licenziamento anche oltre il comporto Corte di cassazione

- Sezione lavoro - Sentenza 2 ottobre 2013 n. 22538


È illegittimo il licenziamento del dipendente assente per malattia provocata dall'azione di mobbing che il datore di lavoro esercita su di lui con sanzioni disciplinari spropositate, richiami ingiustificati e visite fiscali a raffica. Lo sottolinea la Cassazione, con la sentenza 22538/2013, affermando che in casi del genere il licenziamento non può scattare nemmeno se l'assenza del lavoratore supera il periodo di comporto. 

Sulla base di questo principio la suprema Corte ha respinto il ricorso con il quale la società 'Bennet Spa’ - proprietaria di un supermercato a Brugherio - chiedeva il licenziamento di Giuseppe B., addetto al reparto macelleria, sostenendo che le continue assenze del dipendente giustificavano la perdita del posto. 

Ma la Cassazione ha confermato, come già stabilito dal tribunale di Monza e poi dalla Corte d'appello del 2010, che erano "imputabili alla responsabilità del datore di lavoro le assenze per malattia" del dipendente e di conseguenza i giorni di assenza erano irrilevanti "ai fini del calcolo del periodo di comporto". 

Giuseppe B., addetto al reparto macelleria, aveva iniziato a ricevere dal luglio 2002 "una numerosa serie di contestazioni disciplinari, con altrettante sanzioni che andavano dalla multa alla sospensione". Durante i periodi di malattia dal mese di dicembre 2002 al febbraio 2003 "era stato sottoposto a ben 15 visite mediche di controllo". Ulteriori e numerose visite fiscali aveva ricevuto dopo il marzo 2003 dopo "l'ennesimo rimprovero" da parte di un superiore che gli aveva provocato una "crisi psicologica".

Nel luglio 2003 fu licenziato per superamento del periodo di comporto. I giudici di merito in seguito a perizia medica accertarono che le assenze per malattia erano "conseguenza dell'ambiente lavorativo e della condotta aziendale" posta in essere ai danni del dipendente "in particolare con le numerose sanzioni disciplinari poi accertate come illegittime". La società oltre a reintegrare il dipendente è stata condannata nei diversi gradi di giudizio anche a risarcirgli i danni per l'ingiusto licenziamento. 

Fonte:
http://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaAlDiritto/civile/civile/sentenzeDelGiorno/2013/10/malattia-provocata-da-mobbing-no-al-licenziamento-anche-oltre-il-comporto_0.html